PRESENTAZIONE

   Il Liceo Luigi Pietrobono, dall’a.s.1996/97, è composto da quattro indirizzi: Liceo Classico, Linguistico e Socio-Psico-Pedagogico, situati presso il Palazzo Conti Gentili in Piazza S. M. Maggiore e Liceo Scientifico presso la sede di via Chiappitto.

    Il Liceo Classico Conti Gentili è il più antico di essi e nasce come Liceo-Ginnasio privato, annesso al Collegio situato, appunto, nell’omonimo palazzo, su un lascito di Innocenza Conti Gentili, avvenuto il 23 febbraio 1714 a favore dei Padri Scolopi. In seguito, esso diviene prima comunale con il nome di Conti Gentili e poi statale con Decreto ministeriale del 29 settembre 1912.

    Il Liceo Linguistico e il Liceo Socio-Psico-Pedagogico sono nati - uno nell’anno scolastico 1994/95 e l’altro nel 1998/99 - come due indirizzi autonomi e la loro sede  è presso il Palazzo Conti Gentili che ospita anche la Presidenza e la Segreteria.

    Il Liceo Scientifico istituito nel 1970 come Sezione Staccata, insieme a Fiuggi, del Liceo Scientifico Statale G.Sulpicio  di Veroli, ha sede nell’ edificio in Via Chiappitto, costruito di recente e, quindi, dotato di tutti gli attributi necessari a una scuola moderna. Dall’anno scolastico 1990/91 - anche per il consistente numero di alunni - ha avuto l’autonomia dallo Scientifico di Veroli e ora compone, insieme agli altri tre indirizzi liceali, il Liceo Luigi Pietrobono.

 

LUIGI PIETROBONO

 

    Nato ad Alatri il 26 dicembre 1863 si indirizza presto, entrando a far parte dell’ordine degli Scolopi, verso il calasanziano ideale di sacerdote e di educatore, maturandolo con sempre più consapevole coscienza vocazionale dal collegio, all’università, alla scuola.

    Si laurea in lettere nel 1887, in filosofia nel 1889 e nel Collegio Nazareno di Roma è docente dal 1887 al 1907 e poi preside dal 1897 al 1938.

    Hanno inizio qui i suoi studi su Dante che porterà avanti lungo sessanta anni di attività, per tutta la vita e che possono essere datati già dalla sua tesi di laurea su “La teoria dell’amore in Dante Alighieri” pubblicata nel 1888. L’indagine di Pietrobono viene sostenuta, più che da altre tesi, dalle suggestive letture del Pascoli e dal vasto riesame dell’opera di Dante che queste avevano avviato, mostrando che il poema doveva essere inteso come il dramma della redenzione umana, cosicché, solo comprendendone tutto il profondo e unitario pensiero che lo sostanzia, se ne poteva attingere l’arte. Pietrobono, superando i residui limiti estetici del Pascoli e ponendosi in alternativa polemica, sia con le indagini sul lirismo di Dante, portate avanti dall’estetica, sia con quelle, altrettanto disgregatrici dell’unità morale dell’opera, perseguite dalla critica positivistica, costruisce sul vaglio dell’intera opera di Dante, un’organica visione strutturale del poema.

 

    La Commedia è per Pietrobono la profezia del Veltro: messaggero di speranza al mondo traviato e disorientato Dante diviene così l’annunciatore di un disegno divino e la Commedia il poema del dramma umano, meditato nella sua genesi, osservato nel suo storico processo, orientato nella sua finalità di riscatto e di redenzione.

    Luigi Pietrobono si qualifica, in tal modo, come il migliore e più avveduto seguace del Pascoli (Barbi) anche se, così critico del tutto indipendente, dal Pascoli si distacca nella concretizzazione analitica di un’identica linea di interpretazione esegetica. Con il Pascoli, che aveva conosciuto nel 1897, Pietrobono scambia costantemente i risultati della propria indagine e alla sua poesia, per l’affettuosa amicizia che lo lega all’uomo, dedica una vigile attenzione critica, seguendola, sollecitandola a volte, oltre che sostenendola e con passione e coraggio difendendola. E’ del 1907, infatti la sua lettera aperta a Benedetto Croce “Sulla poesia di Giovanni Pascoli” in “Il giornale d’Italia”, in cui, dissentendo apertamente con il riduttivo giudizio espresso da questi sul poeta romagnolo, illumina i caratteri specifici di questa nuova poesia, ricevendo dal Croce, pur nel fondamentale dissenso critico, uno spassionato elogio quale colto e fine ingegno, guida ben informata, esperta e affettuosa.

    Esce nel 1918, presso Zanichelli Bologna, un’antologia commentata di cinquantasei poesie di Pascoli che, successivamente, accresciuta e riveduta, resta tutt’oggi un riferimento d’obbligo. Nella poesia di Pascoli Pietrobono sa cogliere, attraverso la sottile elegia del sentimento del mondo, l’angoscia dell’uomo moderno volto umilmente alla conoscenza del mistero che è dietro le cose, per riconquistare, ed in questa ricerca è la tensione che accomuna i due uomini, il trascendente significato dell’esistenza. Il suo costante fervore intellettuale lo orienta intanto verso un fedele rapporto con la romana Accademia dell’Arcadia di cui con il nome pastorale di Edelio Echeo, lo troviamo già socio nel 1894.

Nel 1924 fa parte di una ristretta commissione per la riforma dell’Arcadia e, partecipando da quel momento al governi dell’Accademia, ne rafforza l’impegno reinserendola, anche con la propria attività, nella viva dialettica della cultura italiana.

Dal 1926 vi inizia i suoi corsi sulla Divina Commedia, su Pascoli, Leopardi e Manzoni fino a che, nel 1940, nominato dal Ministero dell’Educazione nazionale, ne diviene Custode generale.

Gli anni della sua custodia, durata fino al 1953, anno in cui, ormai stanco, rassegna le proprie dimissioni, sono fervidi di lavoro ed egli vi profonde tutte le sue energie di uomo di cultura e di educatore. E’ quest’ultima soprattutto, avendo trascorsa la maggior e miglior parte della vita nella scuola, la missione più intensamente avvertita da Luigi Pietrobono in tutta la sua vita e che egli sostiene, fino alla fine, con lucida fede e mirabile saggezza. In essa sa cogliere i valori stessi dell’insegnamento evangelico e con il Vangelo medita sul significato  ultimo della storia umana esponendo il messaggio, sempre nuovo perché eterno, che si trova racchiuso in quelle pagine, vagliate nell’intimo della coscienza e avvalorato da una risentita intelligenza: quel che preme si è di entrare nello spirito di Gesù e farlo vivere nelle nostre azioni perché nessuno ha letto più addentro di Lui nei cuori umani e ne ha interpretati i bisogni.

 

E’ del 1925 “La morale del Vangelo, del 1943 “Dolore e Amore”, del 1949 “Col nostro maestro Gesù”: è il verbo della carità e della libertà che si coglie in queste pagine, ideali sempre perseguiti dalla sua indomita coscienza di cristiano e di ciociaro e nei quali può essere sintetizzato il significato stesso della sua vita e della sua attività: quel che duole maggiormente si è che i popoli cristiani non abbiano ancora acquistato chiara coscienza della inviolabilità ella persona umana e si lascino miseramente tiranneggiare: ignorano che al mondo non risono né re, né imperatori, né presidenti, né ministri che abbiano diritto di far violenza ad uno spirito immortale.

 

Muore a Roma nel 1960.

 

 

Gianni Quadrozzi